Abbatti la quarta parete: talk che coinvolgono il pubblico
Strategie, tecniche, consigli per rompere il ghiaccio, coinvolgere il pubblico e portarlo per mano fino alla fine del tuo talk.
INDICE
- Io parlo e non mi ascolta nessuno, perché?
- Momento #pieroangela: cos’è questa quarta parete?
- Domare l’incognita: tu non sei il tuo pubblico
- Ti regalo il template: la mappa dei bisogni della tua audience
- Tecniche per abbattere la quarta parete
- Di quella volta che il relatore ha infranto la quarta parete con una pallina da tennis
Io parlo e non mi ascolta nessuno, perché?
Togliamoci subito il dente immaginando lo scenario peggiore: stai facendo un talk, una lezione, una presentazione. Tu parli ma il pubblico sente una tale distanza da te che vedi la morettina in terza fila che gioca a Candy Crush, la CEO e il commerciale in prima fila che parlano del finale di Bridgerton e il vicedirettore che fa la maglia in fondo alla sala. Ecco, lui forse è l’unico che ti sta ascoltando, e fa qualcosa per rimanere concentrato mentre tu parli. Perché fanno così? Perché non si sentono parte di quello che sta succedendo. Talmente “fuori” che pensano tu non possa vedere quello che stanno facendo.
Si sentono invisibili. Ed è subito terza liceo, a fare a battaglia navale col compagno di classe come se la prof di matematica non ti potesse vedere. Ti svelo un segreto: ti vedeva e non le interessava. Chiusa parentesi. Questa invisibilità è come un muro, la quarta parete, appunto, espressione che prendiamo in prestito dal teatro.
Momento #pieroangela: cos’è questa quarta parete?
Immagina di essere in teatro. Gli attori e le attrici recitano su un palcoscenico e tu sei nella tua poltroncina in sala, e li guardi attraverso una parete invisibile. Questa parete separa il mondo della finzione (il palcoscenico) dal mondo reale (la sala).
La rottura della quarta parete significa che chi sta sul palco, invece di continuare a recitare (o presentare, appunto) come se tu non ci fossi, improvvisamente si rivolge direttamente a te, che stai guardando. Può guardarti negli occhi, farti una domanda, o anche uscire dal personaggio e parlare di qualcosa che non c’entra con la storia. È quel che succede anche in alcuni film o serie tv, come in Fleabag, per esempio: la protagonista guarda nella telecamera e ti parla come se fosse lì con te. E tu lì con lei.
via Giphy
Per il public speaking è la stessa cosa. Quando chi presenta rompe la quarta parete si rivolge direttamente al pubblico, invece di parlare solo del suo argomento. Può fare una battuta, chiedere un parere, o semplicemente fare un commento che ti fa sentire parte di ciò che sta succedendo.
La rottura della quarta parete è quindi quello che facciamo per non stare a parlare da soli.
Per fare lo switch essenziale di ogni talk efficace:
Non si tratta di parlare IN pubblico, né di parlare AL pubblico, ma di parlare CON IL pubblico.
Ed ecco che il nostro discorso sarà subito più interessante, più coinvolgente e più memorabile. Perché non sarà più un semplice discorso (lezione/relazione/conferenza) ma un’esperienza condivisa tra chi parla e il pubblico.
Da dove si parte? Naturalmente dal conoscere con chi stiamo parlando.
Chi si nasconde dietro la quarta parete?
Una presentazione che funziona è un circolo virtuoso che coinvolge 3 elementi: chi parla, cioè tu, il contenuto/la scenografia (rappresentato/a dalle slide) e il pubblico. Anzi, il TUO pubblico, quello che è venuto per ascoltarti. Quando il meccanismo funziona, il messaggio che vuoi lasciare arriverà a destinazione, dritto e diretto.
Su di te e il contenuto magari sei più confident: sai chi sei, sei competente sulla materia e hai slide bellissime (grazie a noi!).
La grande incognita rimane il pubblico. Chi è, cosa vuole, perché ce l’ha con me?
Domare l’incognita: tu non sei il tuo pubblico
Il primo passo è: facciamoci le domande giuste per capire il pubblico e soprattutto per farlo diventare il NOSTRO pubblico; quello che, uscendo dal nostro talk diventerà un testimonial appassionato del nostro messaggio di cambiamento.
Cosa interessa veramente al tuo pubblico? Tu? Il tuo contenuto?
Ahimé, dispiace dirtelo: no.
Una presentazione che interessa veramente al pubblico è focalizzata su di lui: le informazioni che darai lo aiuteranno a risolvere il suo problema.
Ma tieni presente una cosa importante:
Tu non sei il tuo pubblico.
Lo so che ti fanno tanto ridere le battute sul gatto di Schrödinger, ma chi ti dice che in platea le coglieranno al volo?
Prima di scrivere il tuo discorso mettiti nei panni di chi verrà ad ascoltarti. Cosa ama? Cosa Ascolta? Che cosa sogna la notte?
Ma soprattutto, di cosa ha paura? Cosa gli/le manca? Cosa gli/le serve da te?
Una cosa importante, non banale come può sembrare: prima di metterti nei suoi panni togliti dai tuoi. Altrimenti continuerai a vedere il tuo pubblico attraverso le tue lenti.
Ti regalo il template: la mappa dei bisogni della tua audience
Invece di pensare in modo astratto alla tua audience e a quanto ti impanica, fai una bella mappa. Metti tutto per iscritto.
E siccome noi siamo qui per facilitarti la vita, le slide e tutto quanto, ti abbiamo preparato il template.
A cosa serve la mappa del pubblico
La mappa ti guiderà mentre stai progettando la tua presentazione in particolare per:
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Calibrare il contenuto: hai definito il tuo tipo di pubblico quindi ora sai quali esempi e casi studio sono adatti e quali no. Non sottovalutiamo questo processo: parlare la stessa lingua del mio pubblico favorisce la connessione, e la connessione è il primo passo verso l’idea che stiamo portando avanti.
Esempio: ho un pubblico adolescente e devo parlare di un brand. È più efficace parlare loro di Mc Donald’s che di Brunello Cucinelli.
- Modulare il tono di voce: ogni presentazione riuscita ha un tono di voce coerente con chi la presenta.
Una [presentazione] credibile e autorevole ha un tono di voce preciso e coerente: chi ascolta sente e impara a riconoscere una voce.
Ma non basta. Dobbiamo fare un passo in più – guarda un po’ – verso il pubblico.
Il contenuto può essere simile ad altre presentazioni, ma ogni presentazione avrà un suo tono di voce specifico.
Perché, cosa cambia? Cambia il pubblico che avrai di fronte: il tono di voce, quindi, sarà riconoscibile e rivolto a un pubblico specifico. Se il mio pubblico è di addetti ai lavori posso usare termini tecnici e scendere in profondità su alcuni concetti; per contro, se è più generico, devo essere meno specifica e più trasversale, chiara, esplicativa.
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Anticipare le obiezioni: le famose “eh, sì, ma…” fonte di ansia pre-talk, vero?
Più il cambiamento che richiedo al mio pubblico è grande, più la resistenza sarà forte. Se sono riuscita a mappare le paure della mia audience, e a mettermi nei suoi panni, potrò immaginare prima anche le obiezioni, avere le risposte pronte e convincerli fino in fondo durante il dibattito.
Che cosa sogna il tuo pubblico?
Questa domanda è particolarmente romantica e al tempo stesso piena di prospettive.
Ok, conosci le caratteristiche socio-demografiche della tua audience: età media, che tipo di studi ha fatto, in che settore lavora e con che ruolo.
Ora, trova il modo di connetterti attraverso elementi che sono universali, e trasversali alle categorie e alle segmentazioni demografiche. Ognuno di noi ha desideri, bisogni e timori: se riesci a intercettarli e a offrire una soluzione, saranno dalla tua parte (perché sentono che tu sei dalla loro).
Il principio di reciprocità (sincera!) è una chiave magica per innestare una relazione.
Perché il tuo pubblico è in sala?
Le possibilità sono per lo più due:
- Sono i tuoi “amici” in sala. Ti conoscono o conoscono qualcuno che ti conosce, ti seguono, ti stimano, ti apprezzano, o forse no, forse non gli piaci. Quindi, per ragioni opposte, hanno una forte motivazione ad ascoltare il tuo discorso; quasi di sicuro sanno già di cosa parlerai o almeno condividono il tuo approccio al problema.
Attenzione: non sottovalutare questo tipo di pubblico. Chi ti ascolta ha delle aspettative, se non dei pregiudizi: cerca di prevenirli e di “spiazzarli”. Sorprendi il pubblico amico, se vuoi che ti ascolti davvero.
- Sono un pubblico prigioniero, sono “costretti” a stare lì dal capo, dal loro professore e così via. In questo caso il pubblico non ha scelta, quindi sarà molto più difficile da convincere, ci vuole un pizzico in più di creatività.
Un esempio meraviglioso: chi è più prigioniero di un passeggero su di un aereo? Questo video sulla sicurezza aerea della Virgin America è avvincente.
Puoi risolvere il problema del tuo pubblico?
Hai analizzato bene il pubblico e hai individuato le sue paure. Nel tuo discorso dovrai fargli fare un viaggio: dal com’è (problematico) al come potrebbe essere se accettassero la tua tesi.
Questo approccio si basa sui contrasti, estremi che accentuano il bisogno di cambiamento. Il miglior esempio di questo tipo di struttura è il discorso di Martin Luther King “I have a dream”. In realtà, questo discorso è un capolavoro in ripetizione, poesia e ritmo.
Se vuoi usare questa tecnica, la tesi nuda e cruda non basta. A supporto fornirai approfondimenti concreti, pertinenti e significativi; sosterrai le tue idee con materiali e affermazioni da fonti esterne: citazioni di persone importanti del settore, dati tecnici e tutto ciò che serve per rendere la tua idea credibile, autorevole e condivisibile.
Come raggiungere il tuo pubblico?
Il tempo del tuo discorso si divide in tre momenti ben precisi:
- Il pre-talk: il pubblico arriva in aula; oppure è già presente e arrivi in aula tu.
- Il talk vero e proprio: quando metti in scena il tuo discorso.
- Il post-talk: cambio di relatore o il pubblico defluisce verso l’uscita.
L’errore comune è focalizzarsi sul momento centrale. Ma se vuoi coinvolgere davvero il pubblico anche il pre-talk e il post-talk sono essenziali.
Pre-talk. In fase di progettazione è importante pensare al contesto: allo spazio in cui presenterai, a quali materiali di supporto fornirai in anticipo e quali consegnerai dopo. Chiediti se le persone devono portare qualcosa o fare qualcosa e, in caso affermativo, fornisci loro le corrette istruzioni. Attenzione, non sempre è efficace dare una copia delle slide prima di mettere in scena il tuo discorso, potrebbe indebolirlo.
Post-talk: cosa lasci a chi ti ha ascoltato? Un veloce giro di tavolo su quello che si portano via serve a loro per mettere a fuoco quello che hanno imparato/compreso e a te come feedback e per migliorare il tuo talk la volta successiva.
Se parliamo di lasciare qualcosa di “materiale”, invece, consegnare le slide dopo il talk (magari anche con l’handout come appendice) è un buon modo per far sì che il tuo discorso rimanga memorabile.
Che cosa vuoi che il tuo pubblico faccia?
Quando strutturi un discorso devi aver chiara la fine, ciò che il tuo pubblico vuoi che faccia, cosa vuoi che si porti a casa. Durante il tuo discorso, gli chiederai di fare qualcosa (anche credere in un sogno). Togliendo la poesia, si tratta della famigerata call to action (CTA). Quali caratteristiche deve avere?
- Una sola CTA per ogni presentazione. Più cose chiedi di fare, meno ne faranno. Chiedi una cosa soltanto, nelle loro corde, nelle loro possibilità, ed è più probabile che ti ascoltino.
- La tua richiesta, per quanto alto sia il cambiamento richiesto, deve poter essere concreta, reale e, se possibile, traducibile in un’azione tangibile.
Il tuo pubblico quali resistenze ha, come le affronti?
Il cambiamento è difficile di suo. Il tuo pubblico si “attaccherà” allo status quo, a ciò che conosce già. È normale, è umano.
Analizzare la platea ti permette di non partire dalla posizione scomoda di parlare di cambiamento da “persona estranea”. Buttata giù la quarta parete sarai “unə di loro”.
Ciò non toglie che – se il cambiamento che chiedi è grande – qualche resistenza in sala sarà inevitabile (e direi anche sana). Come puoi stemperare la resistenza del pubblico?
- Affronta le preoccupazioni del pubblico e apri un dialogo: fai domande per capire bene il loro punto di vista.
- Fatti fare domande per chiarire tutto ciò che non è chiaro.
- Ascolta la platea in modo empatico: capirai come collegare i loro dubbi alla tua idea. In questo modo potrai anche focalizzarti sul terreno condiviso, sui valori e le idee che vi accomunano, e trovare una nuova idea frutto della collaborazione, di una visione comune.
Tecniche per abbattere la quarta parete
Ecco alcune tecniche per abbattere il muro che ti separa dal tuo pubblico (e che separa loro dal godere appieno del tuo talk).
- L’umorismo come chiave dell’empatia: l’umorismo apre le porte della relazione con il pubblico. Ma deve essere contestualizzato, appropriato, ben dosato e COMPRENSIBILE.
- Il corpo: la mente non funziona bene quando il corpo è costretto all’immobilità. Comincia il tuo talk chiedendo un’azione fisica, è più probabile che la tua platea non si trasformi in zombie dopo 5 minuti. Per esempio, puoi chiedere di farti le domande lanciando loro il microfono-palla.
- Fai parlare loro, rompi il ghiaccio con una domanda (attenzione, se la domanda è retorica/difficile/banale, l’effetto contrario – il famoso effetto Elsa – è inevitabile).
- Fai qualcosa che non si aspettano. Rompi il frame e regala un momento fuori format, un momento verità.
- Se sei su un palco e hai previsto una sessione di Q&A avvicinati fisicamente al pubblico durante le risposte alle domande. Se l’ambiente lo permette poi addirittura sederti sul palco o scendere in platea.
- Aggiungi aneddoti personali per creare autenticità e coinvolgimento. Ricordati di avere una storia sempre in tasca, ovvero preparati il tuo catalogo di storie.
- Giochiamo? Un quiz, un sondaggio, un gioco interattivo sono modi coinvolgenti per mettere subito il pubblico in mood attivo e abbattere il muro invisibile.
- Attenzione: preparati più di un rompighiaccio. Se, per esempio, sei a un evento con più talk e molte persone prima di te hanno aperto nello stesso modo tuo, avrai a disposizione alternative più fresche. In breve: se ti hanno bruciato l’apertura hai il tuo piano B già pronto e provato.
Di quella volta che il relatore ha infranto la quarta parete con una pallina da tennis
Un esempio pratico di come puoi coinvolgere il tuo pubblico con le tecniche di cui ti ho appena parlato: a un evento di networking – organizzato da Davide Cervellin per Office of Cards – l’ultimo speaker, Giampaolo Grossi, ha aperto il suo talk con una pallina da tennis.
Dal palco ha invitato il pubblico a passarsi la pallina e, dopo i primi timidi passaggi verso chi era seduto vicino, l’atmosfera si è sciolta. Le persone hanno cominciato a lanciarla più lontano, alzandosi e cercando il contatto con altri partecipanti.
L’apertura di Giampaolo ha funzionato perché:
➡️ Era fuori dall’ordinario. Quando ha tirato fuori la pallina io – che sono una brutta persona – ho pensato “Noooo… Sinner, pure qui!” e invece la pallina è diventata il nostro oggetto magico.
➡️ Lo speaker ha spostato l’attenzione da sé al pubblico, riducendo la maledetta distanza che crea la quarta parete. Questa è, dal mio punto di vista, la qualità essenziale di uno speaker che sa fare bene il suo lavoro: sei tu (pubblico) importante, io (speaker) vengo dopo.
➡️ 80 persone fra loro sconosciute si sono sentite collegate: da un gesto, da un luogo, da un oggetto, da un’azione.
Tutto questo è durato dai due ai tre minuti. E in tre minuti eravamo tutti e tutte sul palco con lui. Apertura SBAAAAAM!
L’idea
Una pallina da tennis ha messo in connessione una platea di 80 persone.
ps. ora mi sto allenando con la pallina, per non fare più la figura della barbagianna.